Dopo la conquista dei territori alpini da parte dell'esercito romano (16 a.C.), nell'area ove ora sorge la chiesa di San Rocco, in un luogo di transito verso le altre valli bresciane e verso il Trentino, fu posta, verosimilmente, una stazione per il cambio dei cavalli e si costruì nei suoi pressi un piccolo insediamento abitativo. Si è ipotizzato che il nome del paese derivi da Pagolus o Pagolinus, "piccolo borgo".
Verso l'inizio del VII secolo, Bagolino divenne parte del regno longobardo e fu aggregato al ducato di Trento, assieme a tutta l'area che verrà poi detta delle Giudicarie. Tale terra fu governata, a partire dall'XI secolo, dal principato vescovile di Trento, appartenente al Sacro Romano Impero. L'appartenenza alle Giudicarie spiega perché, dal punto di vista amministrativo religioso, Bagolino fu posta (e rimase per molti secoli, sino al 1785) alle dipendenze di una delle "Sette Pievi", quella di Condino e, a livello superiore, dalla diocesi di Trento.
Nell'età comunale, durante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, Bagolino badò soprattutto a difendere la propria autonomia, schierandosi alternativamente dalla parte del comune di Brescia (guelfo) e del principato vescovile di Trento (ghibellino). Nel XIV secolo fu assoggettato al dominio dei signori di Lodron, vassalli del principe-vescovo di Trento, che reclamavano antichi diritti feudali sul paese. Iniziò in questo modo una disputa destinata a protrarsi nei secoli.
Nel 1440 Bagolino passò sotto la Repubblica di Venezia rimanendovi, pur attraverso alterne vicende, sino al 1797. Con la Serenissima, il comune di Bagolino stabilì solidi legami di fedeltà, ottenendone in cambio una notevole autonomia amministrativa. Nel 1473 ottenne propri statuti, che regolavano in termini democratici la partecipazione delle famiglie bagosse al governo della cosa pubblica e garantivano il funzionamento di numerose istituzione di carattere sociale e solidaristico. La relativa lontananza da Venezia e l'appartenenza dal punto di vista religioso alla diocesi di Trento connotava Bagolino come comunità di confine, dotata, tra l'altro, di una propria milizia. L'autonomia venne mantenuta nonostante diversi tentativi dei conti di Lodron di recuperare il dominio feudale sul paese.
Grazie all'autonomia, nonché allo sviluppo della produzione casearia e, soprattutto, della lavorazione del ferro, per mezzo del forno fusorio posto nei pressi del torrente Caffaro, il paese ebbe un considerevole sviluppo demografico ed economico, nonostante le numerose calamità naturali che la colpirono: la peste (nel 1478, nel 1580 e nel 1630), un incendio nel 1555, ed altre sciagure ancora.
Nel 1614 vengono promulgati gli statuti della comunità di Bagolino.
La chiesa di San Giorgio, costruita tra il 1624 ed il 1632, testimonia, con la sua mole e, ancor
più, con la ricchezza degli affreschi e degli arredi sacri realizzati da artisti importanti, il
benessere raggiunto dalla comunità bagossa. Le famiglie più importanti del paese hanno fatto a
gara nei secoli per arricchirla di opere importanti e reliquie; tra queste si ricordano le famiglie
Versa Dalumi, Zanetti, Pelizzari, Gennari e Macinata.
La costruzione della cascina risale molto probabilmente a questo periodo: sulla trave della porta della stalla è stato inciso l'anno 1659. Una pietra d'angolo e l'architrave della cucina portano date di qualche decennio dopo. La pietra della fontana (che è molto probabilmente coeva alla stalla, dal momento che di norma non si costruisce una stalla senza un abbeveratoio nei paraggi) pesa circa 2 tonnellate. Sarebbe interessante poter datare i pilastri di castagno nella stalla che sostengono il pavimento del fienile. L'edificio comunque è stato progettato e realizzato da persone esperte, con sicuro impegno di spesa, coerentemente col contesto di fioritura economica, ed è stato mantenuto con cura nel corso degli anni, come testimonia l'ancora ottima condizione di tutti i muri.
Nella notte tra il 30 ed il 31 ottobre del 1779 un furioso incendio, partito dal forno fusorio ed alimentato da un fortissimo vento, distrusse quasi l'intero paese e causò un notevole numero di vittime. La calamità mise in ginocchio l'economia del paese, determinando anche la chiusura delle attività di produzione del ferro e dando inizio ad un periodo di declino.
Il fusinal della cascina (camino corto in pietra) è sicuramente precedente all'obbligo emesso nel 1790 a seguito dell'incendio, di prolungare i camini al tetto e coprire i tetti con ardesie (o coppi) anziché con scandole (tegole di legno).
Nelle mappe napoleoniche (~1815) la cascina non compare, ma forse a quell'epoca e in quelle carte non interessava mappare le cascine sparse per le montagne.
Dopo la sconfitta della Repubblica di Venezia contro le truppe napoleoniche nel 1797, Bagolino entrò a far parte del Regno Lombardo-Veneto sotto la dominazione dell'Impero austriaco, fu coinvolta nelle vicende del Risorgimento italiano e passò nel 1861 al Regno d'Italia. Nel 1866, fu coinvolta, assieme ai paesi limitrofi, nella campagna garibaldina contro l'Austria — conclusasi con il celebre "Obbedisco" — e nelle vicende militari avvenute attorno alla Rocca d'Anfo con le note battaglie di Ponte Caffaro e di Monte Suello. Il fiume Caffaro fino al 1918 costituiva il confine tra Italia e Impero austro-ungarico.
La cascina era censita nelle mappe del catasto del 1905 (verificare). Il tetto è stato rifatto nel 1923.
Esiste un apposito volume (dell'ANPI? Da cercare), che traccia la storia della resistenza
partigiana a Bagolino. Quasi di certo Nani non fu usata dai partigiani. Di sicuro invece
fu usata la cascina del dosso (poco a Nord di Nani), perchè era in vista con il prato
della frazione Salvì con cui si poteva comunicare con lenzuola stese sui prati, visibili con dei binocoli.
Le cascine Nani, Dosso, Bagoligolo, Vallagosta, Valrossa e Le Capre e i rispettivi terreni di pertinenza
erano stati assegnati alla famiglia "Carenet" (prima del nonno Gian Luca, da verificare)
dal comune di Bagolino, in enfiteusi (ossia in affitto di lunghissimo periodo, con obbligo
di miroramento fondiario). Il nome "cascina Nani" deriva dallo scotòm (soprannome di famiglia) "Nani",
associato alla famiglia "di quelli di Giovanni", ossia "di Nani" e potrebbe risalire a questo periodo.
Il contratto di enfiteuesi era molto in uso dal medio evo, ma ha origini romane, ed era
utilizzato per colonizzare e usare territori remoti: un proprietario concedeva
di usare per moltissimi anni una sua proprietà che non sarebbe riuscito altrimenti a
sfruttare, purchè il beneficiario si impegnasse a migliorarla e pagasse un piccolo canone.
Molti alpeggi di Bagolino (in tutto circa 40-50) erano stati concessi in enfiteusi alle
varie famiglie del paese ed erano fonte di sostentamento. Allo stesso modo erano ad esempio stati divisi
tra le varie famiglie di Bagolino pure i terreni, ancorchè malarici, della piana alluvionale (poi bonificata)
del lago d'Idro ("Pian d'oneda", piana degli ontani), perchè permettevano la coltivazione del mais
e quindi la produzione della polenta.
Nel dopoguerra tutte le enfiteusi, come le mezzadrie, sono state abolite a fronte di
riscatti simbolici, così gli enfiteuti Carenècc sono diventati proprietari delle cascine e dei
terreni sul monte Bagoligolo. In quegli anni, le cascine erano in usufrutto alla figlia del
nonno Gian Luca, per cui i suoi fratelli non le hanno amministrate.
Alla sua morte, i fratelli e i rispettivi eredi hanno preso in mano la gestione delle cascine.
Negli anni 80, col contributo di tutti i proprietari di cascine sul medesimo versante della
montagna, riuniti nel consorzio delle Sepiole, è stata realizzata la strada che dal fondovalle
porta fino alla malga Vallagosta a quota circa 1800m. Dagli anni 70 e fino al 2020 la cascina Nani
è stata utilizzata per la stagionatura del Bagòss.